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Enviado por   •  11 de Febrero de 2014  •  2.127 Palabras (9 Páginas)  •  183 Visitas

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La Rete “un nuovo contesto esistenziale”

Il digitale, comunque lo si voglia definire ipermediale o post-mediale, costituisce innegabilmente un “nuovo contesto esistenziale”. Così si esprimono al riguardo gli Orientamenti pastorali, pubblicati dalla CEI meno di un mese fa (28 ottobre 2010). Il n. 51 di “Educare alla vita buona del Vangelo” ci fa così definitivamente congedare da una visione strumentale e perfino solo ambientale, per convincerci che ormai abbiamo a che fare con una sorta di tessuto connettivo, di seconda pelle. Per questo non si tratta più solo di un “nuovo contesto”, come pure intuiva già nel 2004 il Direttorio (n. 170), evocando non senza un certo grado di previsionalità “le nuove frontiere della comunicazione” (nn. 169-176), perché ad essere in gioco qui è l’esistenza di ciascuno.

Il punto, dunque, non è più chiedersi come utilizziamo i media, ma come il “nuovo contesto esistenziale” ci sta impercettibilmente plasmando. Infatti, annotano sempre gli Orientamenti pastorali nel medesimo numero: “Agendo sul mondo vitale, i processi mediatici arrivano a dare forma alla realtà stessa. Essi intervengono in modo incisivo sull’esperienza delle persone e permettono un ampliamento delle potenzialità umane. Dall’influsso più o meno consapevole che esercitano, dipende in buona misura la percezione di noi stessi, degli altri e del mondo. Essi vanno considerati positivamente, senza pregiudizi, come delle risorse, pur richiedendo uno sguardo critico e un uso sapiente e responsabile”.

E’ questo insieme di risorse e di rischi, messo a tema nel convegno “Testimoni Digitali” del 22-24 aprile 2010, ha avviato un percorso di confronto e ancor prima di elaborazione, di cui oggi viviamo un altro momento in una sorta di ideale prosecuzione, resa necessaria dal fatto che i cambiamenti in corso non consentono pause e tantomeno posizioni di rendita.

Ora se il digitale è diventato il nostro humus, “abitare” è il modo di viverlo. Come scriveva Illich, in numerose lingue, ‘vivere’ è sinonimo di ‘abitare’. Chiedere ‘dove vivi?’ significa chiedere qual è il luogo dove la tua esistenza quotidiana forma il mondo. Dimmi come abiti e ti dirò chi sei, insomma. Questa equazione di abitare e vivere risale a tempi in cui il mondo era ancora abitabile e gli esseri umani erano abitanti. Abitare allora significava essere presenti nelle proprie tracce, lasciare che la vita quotidiana iscrivesse la trama della propria biografia nel paesaggio (cfr. I., Illich Nello specchio del passato, 1992: 53).

Interrogarsi sui modi di abitare il “continente digitale” significa che non è tanto il cambiamento tecnologico in sè, quanto il riflesso antropologico, il nostro modo di lasciare tracce nel paesaggio digitale che ci sta a cuore.

2. L’eredità di “Testimoni digitali”

A partire da “Testimoni digitali” appare evidente come il cristiano non intende stare in quello che è il “nuovo contesto” in un modo qualunque, tanto per esserci, per potersi avvantaggiare delle nuove possibilità, per occupare spazi, per trovare nuove vetrine identitarie: la postura è quella della testimonianza, ovvero del riconoscimento della profonda unità di “via, verità e vita”, o di quello che C. Theobald chiama il “cristianesimo come stile”, dove la categoria dello stile esprime al contempo il contenuto e la forma della fede in quanto principio regolatore della presenza del cristiano nel mondo. La testimonianza è tanto più credibile quanto più medium e messaggio, forma e contenuto, verità e vita coincidono. E infatti, tra le stesse scelte di fondo indicate dagli Orientamenti Pastorali, oltre al “primato di Dio nella vita e nell’azione delle nostre Chiese”, si fa esplicito riferimento alla “testimonianza quale forma dell’esistenza cristiana” (n. 3). Per altro, il tema che Benedetto XVI ha scelto per la prossima Giornata mondiale delle comunicazioni sociali è ancor più esplicito: “Verità, annuncio e autenticità di vita nell’era digitale”.

Il convegno dell’aprile scorso ha voluto intercettare e riformulare una serie di importanti questioni che agitano il mondo contemporaneo, indicando percorsi di presenza possibili per la Chiesa, a patto che si prende consapevolezza che il mondo della Rete sta cambiando sotto i nostri occhi e noi con esso.

A questo proposito un cambiamento profondo nel mondo digitale, rispetto al precedente importante convegno del 2002, “Parabole mediatiche”, riguarda proprio il passaggio dalla comunità virtuale (come ambito di relazione, ma anche come modello per leggere le relazioni in rete) al social network.

Tale cambiamento ha due elementi:

• il passaggio dalla ‘comunità virtuale’ e dai “personal media” (focalizzati su temi ed interessi, dove prevale la rescissione dalla realtà e la fuga nel mascheramento, creando appositamente dei ‘mondi a parte’) all’affermazione dei social network e dei “social media” (focalizzati sulla relazione, lo scambio, la condivisione, dove invece si cerca l’incontro concreto e il cuore della relazione sta proprio nell’off line più che nell’on line)

• il passaggio dunque da uno spazio contrapposto (on line / off line) ad uno spazio multi situato (l’on line come ‘estensione’ dell’off line).

Tutto ciò trova conferma empirica nell’inchiesta condotta dall’Università Cattolica del S. Cuore, che era stata pensata in vista di “Testimoni Digitali” e che vede proprio in questi giorni la sua pubblicazione in un volume, edito da ‘Vita e Pensiero, curato da Chiara Giaccardi e intitolato: “Abitanti della Rete”. “Identità digitali” invece è il titolo della ricerca quantitativa che parte proprio in questi giorni e che prevede la compilazione di un questionario on line che si trova nell’home page di “Testimoni digitali”.

E’ necessario, dunque, abbandonare il modello della comunità virtuale (che è ancora dominante, soprattutto quando si tratta di dipingere i “rischi” della rete) e adottare quello del social network, la cui forza sta nel legame che tenta di instaurare e nella possibilità di potenziare ed estendere i nostri spazi di esperienza e relazione oltre i limiti spaziali. Non solo il social network non è un “mondo a parte”, ma rappresenta un primo spazio per articolare in senso non individualistico la presentazione del sé e in senso non strumentale le relazioni. Quello che Oldenberg trovava nei luoghi come i caffè Starbucks (uno spazio dove si sta soli o in compagnia, a studiare o a leggere, in un’atmosfera rilassata e in un clima di fiducia) si estende oggi al social network, che è sempre più un “terzo luogo” tra pubblico e privato, tra personale e sociale: un

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