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Homre


Enviado por   •  11 de Marzo de 2014  •  Tesis  •  2.117 Palabras (9 Páginas)  •  162 Visitas

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1. Il codice civile e le altre fonti del diritto privato

1. Diritto privato e diritto pubblico

Ogni società ha un complesso di regole di condotta che disciplinano i rapporti tra i suoi membri.

L’insieme delle regole che organizzano una determinata collettività è detto ordinamento giuridico, ed ognuna di tali regole prende il nome di norma giuridica.

La norma giuridica è un precetto-comando, che impone o proibisce ai suoi destinatari determinate condotte.

A differenza delle norme morali, la cui osservanza è rimessa alla spontanea adesione degli individui che ne riconoscono il valore, il rispetto delle norme giuridiche è coercibile, e la collettività cui si riferiscono predispone specifici mezzi per assicurarne il rispetto.

Per indicare l’insieme di regole di cui uno Stato garantisce l’applicazione ed il rispetto mediante appositi apparati si parla di ordinamento statale o di diritto statale: qui il termine diritto è utilizzato in senso oggettivo.

Il diritto statale italiano si divide in due grandi settori: il diritto privato e il diritto pubblico.

Il diritto privato è l’insieme di regole con cui vengono disciplinati i rapporti tra privati (individui, società, associazioni, enti privati), nonché tra privati e lo Stato ed i suoi apparati, purché anche nell’ambito di tali ultime relazioni ci si muova su un piano di parità ed al di fuori dell’esercizio di un potere di supremazia.

La distinzione tra diritto pubblico e diritto privato non può, infatti, fondarsi sulla qualità dei soggetti (pubblici o privati), o sulla natura dell’interesse perseguito (pubblico o privato): anche un ente pubblico può essere assoggettato alle norme di diritto privato, o può perseguire interessi pubblici utilizzando strumenti tipici del diritto privato.

Si pensi al risarcimento del danno che l’ente – a mezzo della persona fisica che agisce per suo conto – può aver cagionato al privato, e si pensi al contratto di compravendita che un ente pubblico può stipulare con un privato, per la realizzazione di un’opera pubblica (es.: acquisto di un terreno per costruire una scuola) .

Si può, quindi, concludere che la distinzione tra diritto privato e diritto pubblico si fonda sulla natura del rapporto a cui partecipa lo Stato o l’ente pubblico: se detto rapporto non si svolge su un piano di parità, ma si fonda sull’esercizio di un potere di supremazia al quale il privato non può che soggiacere, saremo nell’ambito del diritto pubblico.

Il diritto pubblico potrà, pertanto, definirsi come l’insieme di norme che regola le modalità di esercizio di questo potere di supremazia.

2. Le fonti del diritto privato

Per fonti del diritto si intendono tutti gli atti ed i fatti idonei a produrre diritto.

Sono, pertanto, fonti del diritto privato italiano:

1. la Costituzione e le leggi costituzionali;

2. il Trattato della Comunità Europea e la legislazione comunitaria;

3. il Codice civile e le altre leggi ordinarie dello Stato;

4. le leggi regionali;

5. i regolamenti;

6. gli usi.

Si è indicato un ordine gerarchico, che vede al primo posto la Costituzione, quale legge fondamentale del nostro Stato.

La Costituzione italiana è di tipo rigido, e può essere modificata soltanto attraverso lo specifico procedimento previsto dall’art. 138 Cost.

Un apposito organo giurisdizionale – la Corte Costituzionale – ha tra le sue funzioni quella di controllare la corrispondenza delle leggi dello Stato con la Costituzione: in caso di contrasto, la legge statale può dichiararsi costituzionalmente illegittima (art. 134 Cost.), e cessa di avere efficacia il giorno successivo alla pubblicazione della sentenza che ne dichiara l’illegittimità (art 136 c.1^ Cost.).

Il trattato C.E. e la legislazione comunitaria occupano il secondo posto dell’ordine gerarchico come sopra indicato.

L’art. 249 del trattato C.E. stabilisce, infatti, che il regolamento ha portata generale ed è direttamente applicabile in ciascuno degli Stati membri della Comunità Europea, e che la direttiva vincola gli Stati cui è rivolta al raggiungimento del risultato in essa previsto, restando salva la competenza degli organi nazionali su mezzi e forma.

Di conseguenza i regolamenti emanati dalla Comunità Europea hanno direttamente valore nel nostro territorio nazionale, e possono prevalere sulle disposizioni dettate da leggi statali contrastanti.

In caso di divergenza, infatti, prevalgono le norme dettate dai regolamenti comunitari, con disapplicazione di quelle contenute nelle leggi nazionali (si vedano, al riguardo, l’art. 11 Cost. e la sentenza resa dalla Corte Costituzionale il 18 giugno 1984).

Il trattato C.E. prevede, inoltre, che il Consiglio possa elaborare direttive con le quali imporre agli Stati membri di adottare determinate leggi.

Obiettivo di tali provvedimenti è uniformare le disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative degli Stati membri in specifici settori.

I singoli Stati dovranno, quindi, adattare il loro diritto interno alle direttive, e quest’opera di adattamento verrà realizzata attraverso leggi dette di adattamento o di recepimento, che gli Stati sono obbligati ad emanare nel termine temporale fissato da ciascuna direttiva.

L’eventuale inosservanza può determinare la responsabilità del Paese membro che non ha tempestivamente o correttamente provveduto al recepimento.

Si può, pertanto, affermare che anche con le direttive la Comunità Europea indirettamente influisce sulla produzione del diritto interno.

Va, inoltre, considerato che, secondo l’interpretazione fornita dalla Corte di Giustizia delle Comunità Europee e dalla Corte Costituzionale italiana (con sentenza 18 aprile 1991 n. 168), le direttive contenenti disposizioni sufficientemente dettagliate ed incondizionate sono direttamente applicabili, a prescindere da leggi statali di recepimento ed esecuzione.

Tali direttive possono però essere invocate nei confronti dello Stato (c.d. effetti

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